Sa Reìna di Nuoro

La banditessa dallo sguardo altero

Sull'altura centrale perno di comunicazione tra le valli che si stagliano impervie nel terreno, sorge Nuoro, la città primaria della cultura isolana. Il centro ha meritato l'appellativo di "Atene sarda" per il forte fermento culturale che qui si è diffuso dagli ultimi anni del XIX secolo fino a quello successivo, che ha come esempi massimi artisti del calibro di Deledda e Satta. Nùgoro, verrà però ricordata anche come la città di colei che ha segnato la storia sarda di fine Ottocento.


La chiamavano sa Reìna per il suo famigerato ardire e il suo potere decisionale che la contraddistinguevano tra le genti di Nuoro, per le cui vie passeggiava sempre vestita di eleganti abiti impreziositi con tradizionali gioielli dal brillare prezioso. Maria Antonia Serra Sanna visse a Nuoro a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento e ha dedicato la sua vita a patrocinare la volontà fraterna di soddisfare le ambizioni di miglioramento economico e sociale della propria famiglia. I Serra Sanna, infatti, non avevano ricche origini.

Il padre Giuseppe, meglio conosciuto come tzio Peppe, possedeva circa una decina di pecore che ben poco riuscivano a fruttare. I figli, non rassegnati alla povertà, si diedero alla pratica di un atto, lucroso, ma rischioso qual è l'abigeato, che condusse a una condanna di carcerazione per furti di bestiame.


Da questo momento in poi si diedero alla latitanza vivendo nell'entroterra sardo, pur proseguendo la loro attività di dominio sul territorio e di vendetta verso i loro accusatori.
A favorire questo progetto sarà proprio loro sorella Maria Antonia, donna di non ordinaria intelligenza e fedele al suo legame fraterno.
Divennero dunque una ricca famiglia di possidenti terrieri e di bestiame capaci di dettar vita o morte a chi rispettivamente obbediva loro e a chi, di contro, ad essi si ribellava o ancor più li accusava davanti ai giudici per gli atti compiuti.


Sa Reìna, però, non scelse la latitanza, ma la condivise in libertà diventando un'attiva sostenitrice dell'operato dei fratelli Giacomo ed Elias. Si racconta che, munita di barba finta e fucile in spalla, nonché vestita in brache e mastruca (così denominata la giacca di pelle di pecora senza maniche dei pastori) andasse per boschi percorrendo indecifrati chilometri di brughiera e montagne al sol fine di mantenere costante il rapporto con i fratelli.
La causa determinante che giustificava tali comportamenti, insoliti per una donna, consisteva nel rafforzare le possibilità di sostentamento e incoraggiamento della latitanza di Giacomo ed Elias, consegnando loro di volta in volta munizioni, cibo e notizie importanti.


La sua scelta di non darsi alla macchia è indotta proprio da ciò. Consentiva, dunque, il permanere di un costante legame tra i fratelli latitanti e il paese che li obbediva senza tirar fiato. Alla Reìna bastava pronunciare le semplici parole "Parlerò con Elias" per frenare anche il minimo accenno di resistenza ad ogni sua richiesta.
La motivazione di tale potere di un semplice nome, vincolante l'altrui esistenza, è ravvisata nella ferocia caratteriale manifestata nelle proprie gesta dal fratello minore rispetto a Giacomo, non meno influente e incisivo, ma di certo non cruento a tal limite.

Giacomo e il temibile Elias, non facevano sconti di vita, mossi dall'intento di dominare un territorio sentito proprio dai primordi e nella prospettiva di ribellione alla legge dello Stato, considerato un "forestiero" invasore a cui non concedere ragion d'essere.


Nella Nuoro di fine Ottocento non vi era posto per l'applicazione legislativa nazionale, esisteva un solo ordine a cui dar conto, totalmente radicato tra le genti, seppur talvolta dalle stesse subìto. Il tramite tra il paese e i territori confinanti in cui la legge dello Stato, in tal senso parallela, non si poteva applicare è da sempre lei, la signora di Nuoro, Sa Reìna.
Il suo compito era quello di esigere tributi in denaro o bestiame dai possidenti nuoresi e dei paesi prossimi, senza l'ausilio di un servile aiuto maschile. Di carattere forte e dominante, dimostra il suo volere deciso di non sottomissione a un uomo anche nel suo privato da donna nubile e indipendente.


Ne dava sempre ostentazione nelle sue passeggiate lungo il corso nuorese di cui ci dà conto il tenente Giulio Bechi nella sua opera Caccia grossa, in cui lo stesso narra del casuale incontro con la donna "dalle forme robuste e dal viso ardito, ombreggiato dalle cupe stelle degli occhi".
Al suo passaggio vi era chi le s'inchinava davanti, addirittura, ma i più si davano al largo per consentirne il libero traversare. Una donna forte di una bellezza ardita , ma al contempo con lo sguardo altero e profondo, comunicativo del suo dire combattivo o meglio definita "...l'anima della famiglia (....) un accidente mandato da Dio sulla terra per dannazione del genere umano!" secondo le parole dette dal delegato al tenente.


I fatti storici ne testimoniano la cattura nel 1899 durante quella che sarà definita dal Bechi stesso come la "Notte di San Bartolomeo". Il tutto accadde tra il 14 e il 15 maggio: l'intera Barbagia è posta in stato d'assedio. La città di Nuoro fu divisa in sette rioni e nei punti strategici vennero ammucchiate manette e catene.
La retata, posta in essere da centinaia di carabinieri sotto il comando del capitano Patella, era rivolta a privare i banditi di ogni favoreggiatore. Furono arrestate più di settecento persone, alcune delle quali rilasciate subito dopo; altre invece, prosciolte in corso di istruttoria.


Tra la moltitudine, fu fermata nella propria dimora anche Maria Antonia e anche in tal caso il suo altero sguardo segna il volto dismesso dallo stupore per l'inaspettato accadimento. Lo stesso sguardo che indirizzato verso la cassapanca di famiglia, fungerà da indizio per i carabinieri per scovare il nascondiglio dei documenti di prova d'accusa. Nel 1900 Sa Reìna, la signora di Nuoro dallo sguardo altero, sorella dei due banditi conosciuti come i Senatores verrà condannata a diciotto anni di carcere.

 

01 ottobre 2015

Veronica Pastore
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