La miniera di Seddas Moddizzis

A pochi chilometri da Gonnesa, nella zona sud occidentale dell’isola, si trova uno dei tanti siti minerari dismessi della Sardegna: la miniera di Seddas Moddizzis. Essa è situata in un’area di grande interesse ambientale, quella del Sulcis Iglesiente, dove le attività minerarie hanno avuto nel passato una particolare importanza e diffusione.

Per gli amanti dell’archeologia industriale, in effetti, questa è la zona ideale per poter fare un tuffo nel passato e ricordare le proprie origini.

Oggi le miniere sono viste come luoghi magici, quasi surreali, talvolta inquietanti ma ricchi di storia, su cui si è riusciti a costruire, col tempo, un vero e proprio turismo per i più curiosi e appassionati.

Riportare a galla i “ricordi sotterranei”, spesso rievocati da racconti di sofferenze, di fatiche e di lutti delle generazioni passate, ha sempre suscitato un certo fascino nei sardi e, per questo, gran parte dei siti minerari dell’isola sono stati adibiti a centri di diffusione culturale, visitabili attraverso itinerari ben studiati che mettono in luce la bellezza di questi luoghi.
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Tuttavia, sono altrettanti i siti di cui si conosce poco o nulla, proprio perché sono stati abbandonati e presto dimenticati da tutti. La storia del complesso minerario di Seddas Moddizzis comincia nel 1868, quando alcuni piccoli imprenditori, scoperti i grandi ammassi di zinco presenti nella zona, iniziarono gli scavi a sud del Monte San Giovanni, nonostante la lunga controversia con l’ingegnere Gian Luca de Katt, che a quel tempo gestiva i permessi minerari sulle suddette colline.

Dopo pochi anni, a causa di un’insufficienza di capitali per il proseguimento dei lavori, il ricco territorio passò nelle mani dell’ingegnere Giorgio Asproni, nome noto nella storia dell’industria mineraria sarda, il quale scoprì, proprio su quel sito, un vasto giacimento di calamina e riuscì in brevissimo tempo a valorizzare le potenzialità della miniera e la ricchezza del sottosuolo.

Nel 1893 egli ordinò la costruzione della laveria idrogravimetrica, dove il minerale sarebbe stato trattato; fece poi costruire un acquedotto, una nuova strada per il transito di carri e, ovviamente, il villaggio minerario per i lavoratori, situato proprio sulla pianura di San Giorgio.

Nel “Villaggio Asproni” vi erano diversi edifici, dalla villa dell’ingegnere, che abitava lì con la sua famiglia, alle case dei minatori, dalla scuola alla chiesa, dagli uffici della direzione allo spaccio.

Per molti anni la miniera visse un periodo d’oro, vantando più di 300 lavoratori e ottenendo risultati straordinari in termini di selezione del minerale. Si arrivò ad estrarre 100 mila tonnellate di calamina.
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La sicurezza costituiva però una nota dolente: quella di Seddas Moddizzis era da tutti conosciuta come la “miniera dei mutilati”, a causa del numero estremamente alto di infortuni avvenuti in galleria.

I pareri negativi espressi dai funzionari del Corpo Miniere impedirono così all’ingegnere di ricevere i finanziamenti durante la crisi degli anni Trenta, periodo in cui la sua miniera, effettivamente, iniziò ad affrontare le prime difficoltà.

Alla morte di Asproni, Seddas Moddizzis passò nelle mani della Società Monteponi, la quale, grazie anche ai contributi statali, poté migliorarne radicalmente le condizioni.

Negli anni ’60, però, a seguito del collegamento al nuovo impianto di flottazione della miniera di Campo Pisano, la vita di questo sito vide i suoi ultimi istanti e quei luoghi, un tempo popolati e caotici, vennero lasciati al loro destino. Un destino fatto di abbandono e desolazione.

Il Villaggio Asproni in particolare, divenuto di proprietà di un privato da qualche anno, rappresenta una realtà fantasma estremamente affascinante, ancora sentita dalla popolazione locale perché appartenente a una parte di storia che merita di essere raccontata e tramandata.

Ciò che rimane oggi del complesso minerario di Seddas Moddizzis è un misterioso e suggestivo scenario, fatto di vecchie strutture in disfacimento, di una laveria abbandonata, di edifici spettrali, di macerie e rovi su un promontorio isolato, che riesce a parlare di passato, anche nel silenzio.

08 aprile 2017

Marzia Diana
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