Il banditismo in Sardegna

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02 ottobre 2015 Bandidos

02 ottobre 2015

Per tentare di comprendere il fenomeno del banditismo ottocentesco in Sardegna, è necessario partire da una constatazione storica, tanto ovvia e risaputa, quanto fondamentale: la Sardegna ha subito una serie sconcertante di dominazioni. Alberto Lamarmora nel suo Voyage en Sardaigne scrisse: “Qualunque altro popolo che si fosse trovato per tanti secoli, nelle circostanze negative che da sempre pesano su questa regione, non sarebbe stato né così paziente, né così docile”.
Alla base del fenomeno c’è indubbiamente la condizione di sfruttamento epocale, subita dai sardi, acuitasi enormemente nell’Ottocento.
Un fulmineo excursus storico serve per chiarire meglio l’analisi.


Partiamo dalprocesso di romanizzazione dell’isola che nella Barbagia, (zona montuosa interna), non fu mai vero e proprio assoggettamento. La Barbagia incarna la montagna, è il rifugio della libertà, un’isola nell’isola che non ha per confine il mare, bensì altra terra.
La romanizzazione della Barbagia ha lasciato in eredità non tanto un grosso patrimonio archeologico, quanto una profonda impronta sulla lingua, (il barbaricino è la lingua dove il latino permane in maniera molto più netta rispetto alle altre lingue romanze d’Europa).


I Romani prima, il cristianesimo poi, penetrato lentamente insieme ad altri popoli “venuti dal mare”: Vandali, Bizantini, Pisani, Aragonesi, Spagnoli, Piemontesi.
Per i popoli dell’entroterra e della Barbagia soprattutto, il mare venne associato fin da subito a un elemento negativo che portava sventure.
Oltre al fenomeno storico delle dominazioni, sempre piuttosto dure, il fenomeno del banditismo ottocentesco che cresce e si sviluppa esclusivamente nelle zone interne, si caratterizza alla nascita per alcuni fattori contingenti: l’abolizione del sistema feudale con la conseguente eliminazione dell’ademprivio e l’Editto delle chiudende. Fattori che in queste zone hanno generato sofferenze, ribellioni e atrocità più che in altre.


La gestione collettiva della terra era un elemento cardine della società sarda. La fine di questo sistema comunitario di conduzione arcaica e la scomparsa del feudalesimo hanno innescato nei sardi un odio dirompente. Lo Stato riscattò i feudi e comparve come un esattore durissimo, attuando la sua riforma sulla pelle dei contadini e dei pastori.
Nacque così la contrapposizione insanabile Stato-Sardegna, Continente-Isola, Città-Campagna, che si acuì incredibilmente nell’entroterra barbaricino emarginato ed estromesso da qualsiasi processo di crescita.
Si è creata in queste aree una forma arcaica di resistenza. Una resistenza sempre presente benché quasi mai unitaria e non sempre portatrice di valori positivi. Essa aveva una base solidissima: mantenere lo status interno inalterato; doveva restare su connottu, “il conosciuto”, dovevano perdurale le stesse leggi tradizionali profondamente radicate.

01 ottobre 2015 Bandidos II parte

01 ottobre 2015

Che cosa faceva del bandito sardo un bandito?
Tra le varie categorie ascrivibili al banditismo una in particolare racchiudeva tutti i banditi sardi, ovvero coloro che perseguiti o non perseguiti da un mandato d’arresto, inquisiti o già condannati per un delitto, si fossero sottratti alla giustizia, dandosi alla macchia.


Nel calderone finivano in tanti. Già appare evidente come non vi fosse l’identificazione della banda, (almeno inizialmente). C’è solo il singolo e questa è una prima considerazione.
Poi c’era da capire se il delitto oppure il furto del quale si veniva accusati fosse stato veramente compiuto.


La carriera di un bandito ha quasi sempre origine da un fatto apparentemente non grave edecisamente inconsistente. La rabbia e l’odio innescati da una piccola scintilla, divampano poi irrimediabilmente: l’accusa di un furto o di uno sconfinamento di bestiame, una minaccia, un tragico errore, una calunnia. Il fatto, l’accusa è ancora tutta da dimostrare ma nel frattempo il semplice sospetto ha attivato nella mente dell’accusato un processo devastante che difficilmente si può interrompere.


Qui la totale mancanza di fiducia nella giustizia ordinaria si materializza concretamente solo nella fuga e nella latitanza. Questo è il segnale inequivocabile della colpa dalla quale poi deve generarsi la vendetta. Talvolta quell’accusa è fondata. Talvolta no, non c’è nulla di vero, ma ormai il meccanismo è stato attivato. Una semplice insinuazione può segnare il destino di un uomo, può cambiare per sempre il corso della sua vita.

01 ottobre 2015 La notte di San Bartolomeo

01 ottobre 2015

É nel 1899 che Patella, il capitano dei carabinieri di Nuoro, in una trattoria di Oliena, discute sul fenomeno del banditismo barbaricino, con il tenente Giulio Bechi, che diventerà autore di "Caccia Grossa", una delle opere più caratteristiche a riguardo.


Una giornata d'incontri che segnerà la memoria del militare, specie grazie all'incontro fatidico con Maria Antonia Serra Sanna, che Bechi ricorderà come la Regina del paese (Sa Reina), temuta, obbedita e protetta da un muro d'omertà. Non si può sapere cosa quest'incontro fece scaturire nell'animo del tenente "continentale", ma fece esternare d'impeto al suo capitano la necessità di un intervento repressivo, convinto della necessità che si dovesse intervenire nell'immediato e arrestarli tutti: i banditi, e non.


In Caccia Grossa il tenente riporta l'avvenimento della cattura degli oppositori alla "Benemerita", dall'altro punto di vista, quello del carabiniere. Colui che veniva considerato "coloniale" o "invasore" di una terra già sotto il regime di un ordine sociale ben stabilito e, seppur non formale, senza dubbio, di prassi e alternativo alla legge statale, quale era l'ordinamento barbaricino.

01 ottobre 2015 Il poeta incontra il bandito

01 ottobre 2015

Era il febbraio del 1894 quando Sebastiano Satta e il suo compagno giornalista Gastone Chiesi intervistarono nella grotta-rifugio di Setti Funtani, nel territorio di Sassari, i latitanti Francesco Derosas, detto Cicciu, Luigi Delogu e Pietro Angius, tutti banditi di Usini (SS).


Dare la parola al bandito significò per Satta anche idealizzare la sua ribellione e identificarla inevitabilmente con la sofferenza sociale e con le angosce del mondo rurale, di cui già si è potuto apprezzare il portentoso lirismo nei “Canti barbaricini”, in versi famosi e conosciuti diretti proprio ai banditi definiti “belli, feroci e prodi”.
Il Satta poeta è l’eccellenza aulica senza eguali in Sardegna. I suoi versi sono intramontabili ma a onore del vero resta indelebile anche questa intervista.


Il tutto iniziò con l’incontro che il poeta e il giornalista ebbero con un giovanotto dall’aria misteriosa che li invitò a seguirlo e dopo poco svelò chi desiderava parlare con loro. Si trattava del famigerato bandito Cicciu Derosas. Da qui nasce la paura ma anche il desiderio di diventare depositari della confessione di un bandito efferato che aveva seminato il terrore nel circondario di Sassari, aveva sulla coscienza una dozzina di omicidi, che perpetrava di compierne altrettanti e che era riuscito a fuggire incredibilmente alle ricerche forsennate delle forze dell’ordine.


Decisero di seguire quel messaggero oscuro. Dal viottolo buio e sconnesso sbucarono in una strada carrozzabile, discesero per una conca e percorsero una valle boscosa, superarono un ponte e camminarono nel buio atroce della notte.
Finalmente dopo la lunga camminata nel silenzio più cupo luccicò il calcio di un fucile e si udì il suono del grilletto. Una voce tetra allora irruppe: “chie ses”? “Eo” – “chi sei”, “io”. E il passaggio fu libero.

01 ottobre 2015 L'ordinamento giuridico barbaricino

01 ottobre 2015

Il codice barbaricino ha una storia radicata di consuetudini e usi propri di una popolazione volta all'uso comunitario delle terre, sentite di proprietà comunitaria ab origine rispetto alla nascita stessa del Regno d'Italia.


Dopo la proclamazione dell'unità del 17 marzo 1861, il problema cruciale per il governo consisteva nel disporre sulla destinazione degli ex demani feudali su cui gravavano gli usi civici esercitati dalla popolazione, consistenti nel diritto di pascolo, di coltivazione e legnatico.


L'abolizione dei diritti ademprivi, avvenuta con legge del 1865 che qualifica come reato contro il patrimonio demaniale l'uso collettivo delle terre, segna una profonda avversità della comunità pastorale verso la legge statale.


Il malcontento generale si era già delineato tra le genti con l'emanazione dell'Editto delle Chiudende emanato dal vicerè Carlo Felice con legge del 1820, che consentiva "a qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio".

01 ottobre 2015 Sa Reìna di Nuoro

01 ottobre 2015

Sull'altura centrale perno di comunicazione tra le valli che si stagliano impervie nel terreno, sorge Nuoro, la città primaria della cultura isolana. Il centro ha meritato l'appellativo di "Atene sarda" per il forte fermento culturale che qui si è diffuso dagli ultimi anni del XIX secolo fino a quello successivo, che ha come esempi massimi artisti del calibro di Deledda e Satta. Nùgoro, verrà però ricordata anche come la città di colei che ha segnato la storia sarda di fine Ottocento.


La chiamavano sa Reìna per il suo famigerato ardire e il suo potere decisionale che la contraddistinguevano tra le genti di Nuoro, per le cui vie passeggiava sempre vestita di eleganti abiti impreziositi con tradizionali gioielli dal brillare prezioso. Maria Antonia Serra Sanna visse a Nuoro a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento e ha dedicato la sua vita a patrocinare la volontà fraterna di soddisfare le ambizioni di miglioramento economico e sociale della propria famiglia. I Serra Sanna, infatti, non avevano ricche origini.

01 ottobre 2015 Paska Devaddis

01 ottobre 2015

“Paska Devaddis era come noi, né bella né brutta, né avvocato né poeta. Paska è andata in alto con la morte, quando fu trovata e composta nella sua casa vuota. Tutto il paese andò a vederla”. [...] “ma era già un’ombra, un viso inventato dalle candele che la circondavano”.


Questo piccolo frammento di dialogo è estrapolato da “Paska Devaddis – Tre radiodrammi per un teatro dei sardi”, di Michelangelo Pira.
Così lo ricordano quelle voci guidate dalla penna del grande antropologo di Bitti.
Tra le figure banditesche sarde, quella di Paska Devaddis assume un ruolo preponderante. Il bandito è una figura prettamente maschile. La donna, per la sua natura, difficilmente può diventare banditessa. Troppi fattori e cause, troppe ragioni e motivazioni irrimediabilmente contrastanti. É un mondo dominato dall’uomo. Il banditismo è “cosa da uomini”. La donna accetta, si dispera ed entra in scena solo nel momento del lutto. Per Paska però non fu così.
Ma chi fu realmente Paska Devaddis? E perché è entrata di diritto nella storia del banditismo sardo?

01 ottobre 2015 Giovanni Corbeddu Salis

01 ottobre 2015

Giovanni Corbeddu Salis è stato uno dei più celebri banditi sardi di fine Ottocento. Se ci fermassimo ad analizzare rapidamente il suo curriculum criminale, ci troveremo a dover condannare con ribrezzo e senza mezzi termini, tanta efferatezza e ferocia. Ma il “Re della macchia”, come veniva soprannominato dai suoi compaesani, ha connotati e caratteristiche che lo discostano dal classico famigerato bandito sanguinario. É necessario guardare più a fondo. Ed è quello che faremo.


Sul bandito Corbeddu pendevano le più disparate accuse che andavano da furti, danneggiamenti, estorsioni, fino alle rapine, alle violenze e agli omicidi. Una condanna alla pena di morte e una all’ergastolo, una taglia di ottomila lire e ben dodici mandati di cattura.


Corbeddu, nato a Oliena nel 1844, è stato uno dei più noti fuorilegge sardi dell’epoca. La sua vita fu segnata da una scelta tragica (che ne contraddistinse inequivocabilmente il destino), da gesti eclatanti, atti criminali, azioni pacifiche e inaspettate. Una latitanza che durò ben diciotto anni, una grotta che porta il suo nome, il ruolo di saggio attribuitogli dal popolo nelle controversie, che ricoprì negli ultimi anni della sua vita, e quel senso di muto rispetto che ancora oggi la sua figura inevitabilmente incute.

01 ottobre 2015 Caccia grossa a Morgogliai

01 ottobre 2015

L’eterna lotta tra banditi e forze dell’ordine raggiunse il culmine nei giorni 9 e 10 luglio del 1899.
Quello scontro viene ricordato oggi come la “Battaglia di Morgogliai” ed è considerato uno dei più grandi e tragici conflitti a fuoco che si siano mai verificati nella Sardegna dell’Ottocento.

Da una parte c’erano i latitanti più famosi dell’epoca: i fratelli Elias e Giacomo Serra Sanna di Nuoro, Giuseppe Lovicu di Orgosolo, Tommaso Virdis di Oniferi e Giuseppe Pau di Oliena; banditi spietati che formavano una banda criminale rispettata e temutissima in tutto il circondario di Nuoro e dall’altra parte circa duecento carabinieri e soldati.


“Proite no los chircas in Murgugliai”? (Perché non li cercate a Morgogliai?) Fu questa frase, buttata lì in un giorno qualunque e pronunciata da una delle tante bocche invisibili, a sancire la fine della temuta banda di banditi. Perché da quel momento gli occhi di tutti si rivolsero in un solo istante in direzione proprio di Morgogliai, penetrando fin dentro quella fitta boscaglia inaccessibile, tra il territorio di Orgosolo e Oliena, luogo di rifugio, avamposto inespugnabile, centro nevralgico di ribellione, baluardo di terrore.


Da quel momento si mise a punto un piano per andare a stanare definitivamente i criminali e ristabilire la serenità in tutta la zona. I fratelli Serra Sanna e agli altri banditi erano accusati di una serie di omicidi da far impallidire; oltre a rapine, grassazioni, atti incendiari e altre violenze a destare scalpore era la loro incredibile crudeltà e sete di vendetta. Su tutti loro pendeva una grossa taglia e una serieinfinita di condanne.

 

01 ottobre 2015 Bastiano Tansu il bandito innamorato

01 ottobre 2015

Amore, onore, vendetta e sangue. Pare che il Mondo, dall’alba dei tempi, ruoti intorno ad essi. Sentimenti e passioni umani, narrati nel più lontano passato nei poemi epici e cavallereschi, nei tempi moderni nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani. Non possiamo sottrarre le faide che hanno imperversato la Sardegna nei secoli diciannovesimo e ventesimo all’ aura romantica che le impregna; non possiamo considerarli soltanto come omicidi efferati ma è necessario analizzare le passioni che hanno animato storie intrise di sangue.


Quanto accadde nel nord Sardegna, in Capu de Susu, descrive una realtà dai contorni nettamente differenti rispetto al sud dell’isola. Possiamo considerare Capu de Susu un luogo che comprende tutto il nuorese ed il sassarese fino al confine col mare della Corsica, un luogo che ben poco ha preso in considerazione i confini geografici imposti e che hanno sempre avuto valenza meramente amministrativa e non storica, al contrario si è sempre sentito un tutt’uno, pur identificandosi ogni paese essenzialmente in se stesso, con le stesse regole e tradizioni, molto diverse da quelle de Capu e Giossu, la parte meridionale della Sardegna.


Regole consuetudinarie tramandate oralmente (lo scrittore Antonio Pigliaru le ha codificate in ventitrè norme del Codice Barbaricino) che sos “Capuesusesus” hanno sempre cosiderato vincolanti in misura nettamente superiore a quelle dello Stato. Norme dotate di giuridicità intrinseca, valide ed insostituibili, dotate di sacralità e superiore a qualsiasi altro precetto, anche religioso.

30 settembre 2015 L'ultimo bandito sardo

30 settembre 2015

Era il lontano 1848 il cosiddetto anno delle "agognate riforme", che vide crollare il governo assoluto nella prospettiva dello stabilizzarsi di una civilizzazione più ferrea. Le difficoltà di attuazione di un tale obiettivo socio-politico si inasprirono sempre più con la strage dei Saba e dei Careddu (1850) e quella dei Saba e dei Macioccu (1851) fino all' epidemia di colera a Sassari nel 1855 che provocò più di cinquemila vittime, con conseguente attenuazione delle dispute sociali mosse dalle lotte politiche.


É in questo scenario a dir poco apocalittico che nel primo decennio del governo costituzionale (1849-1859) si svolse la storia di Giovanni Tolu, bandito non a causa di un' indole malvagia, ma perché determinato nella ribellione alle vessazioni subite.


La fierezza del carattere, la generosità cavalleresca, l'odio rivolto solo verso le spie e i nemici, nonché il ripudio del furto, delinea il tipico bandito sardo, figura ormai venuta meno nel panorama insulare. Secondo Enrico Costa il bandito sardo "non è un masnadiero, non è un brigante, non è un grassatore, non è un fabbro di ricatti".


Di virtù e rettitudine intellettuale sono dotati quegli uomini che non nascono feroci, ma lo diventano per sopravvivere, così come era stato per Giovanni Tolu, considerato dallo scrittore l'ultimo bandito sardo.

01 settembre 2015 Le terre dei banditi senza nome

01 settembre 2015

Lassù tra le montagne sorgono dei deliziosi paesini che fanno da sfondo a numerose leggende che rappresentano quello che è lo splendore della Sardegna.
La vista è unica e la maestosità dei monti fa da copertura a meravigliosi panorami, luoghi di rifugio per i banditi senza nome.
La bellezza delle pareti rocciose granitiche e dei boschi di lecci e querce, nei quali si intravedono i primi raggi del sole che illuminano la terra vasta e umida.
Vige il silenzio e la tranquillità in queste zone attraversate dal solo rumore dello scorrere delle acque dei ruscelli e dal profumo delle foglie, dei funghi e dei frutti di bosco.