Prendas, i gioielli di filigrana

Lo splendore di un filo ritorto

Tra gli orafi artigiani si è sviluppata da secoli una tradizione del gioiello sardo che la distingue da qualsiasi altra, anche se influenzata dalle diverse culture approdate nell’isola nel corso dei secoli.

Foto di P. Angelotti
Foto di P. Angelotti
Che siano oggetti a carattere sacro, croci e rosari, o a carattere semplicemente decorativo o pratico, come i bottoni, le spille, i pendenti e le gancere, utilizzate, queste ultime, per congiungere i lembi di un mantello, il gioiello sardo non è, contrariamente a quanto sarebbe lecito pensare, un fenomeno statico, legato al passato. 


Infatti, gli orafi e gli argentieri sono assolutamente aperti ai nuovi influssi, creando oggetti preziosi che, pur mantenendo stilemi della tradizione, appaiono moderni e raffinati.



La tecnica di esecuzione più utilizzata è sicuramente la filigrana, con la quale si realizzare uno tra i più diffusi gioielli della tradizione, il “bottone”, semplicemente spilla, oppure, unito da su giuali, funge da chiusura, tramite le asole, di camice, corsetti, ecc. Di stile sei-settecentesco è, invece, su lasu, pendente a forma di farfalla, traforato con decorazioni a imperlato, allacciato, grazie ad un nastro di velluto nero, al collo.


Essendo la Sardegna ricchissima dei giacimenti, l’argento fu, da sempre, il metallo più impiegato nella elaborazione dei gioielli, ma attualmente, con la diffusione di un maggior benessere, si preferisce l’oro accompagnato dalle granate e il corallo che, nell’isola, è di qualità superiore. 
Dorgali, Bosa, Iglesias e Alghero sono i centri di lavorazione principali, ma l’arte orafa è ormai diffusa ovunque nell’isola.

01 settembre 2015

Andrea Concas
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