Tanti e variegati blog di cucina imperversano nella rete globale e regalano agli internauti desiderosi di imparare l’arte culinaria ricette delle più disparate tradizioni gastronomiche. I blogger più raffinati abbinano alla redazione degli elenchi di ingredienti e alla scrupolosa spiegazione della preparazione di impasti e pietanze elementi narrativi più o meno spuri per animare gli spazi del blog.
Pochi sanno farlo con la naturalezza di chi fin dall’infanzia ha sempre avuto la passione per la cucina, i viaggi e il confronto con culture e luoghi geografici differenti. Con questo spirito lieve ed appassionato nasce FreGola, blog tutto sardo gestito da un ingegnere con il vezzo della buona cucina che guida ogni settimana centinaia di followers alla scoperta dei profumi dei prodotti locali ed extraisolani e degli aspetti plurisensorali dell’ esperienza enogastronomica.
Sandalyon ha incontrato Elisabetta Di Cesare, blogger e ideatrice di FreGola, fornelli e macchina fotografica alla mano:
FreGola è un blog che le ricette non solo le descrive ma le racconta. Come nasce la passione per il buon cibo e il contesto che ne circonda e arricchisce la preparazione?
Da che ho memoria ho sempre trafficato in cucina: da bambina mi affaccendavo ad aiutare mia madre ai fornelli e guardavo incantata le mani forti ed esperte di mia nonna confezionare ravioli e pardulas. Ho avuto delle ottime cuoche di riferimento in famiglia, ed anche adesso che sono cresciuta, affondare le mani negli impasti che profumano di farina e lievito mi rievoca questi ricordi.
[...] Ad Arasolè si mangiava pane, soprattutto pane. Poi, secondo le stagioni, altre cose: d’inverno, pane e lardo; di primavera, pane e ricotta; d’estate, pane e pomodori, che venivano chiamati “le aragoste dei poveri”; d’autunno, pane e fichidindia. Il povero campava bene solo d’autunno, perciò chiamato “autunno ingrassapovero”. [...]
Così Francesco Masala, nel suo unico romanzo "Quelli dalle labbra bianche", descrivendo drammaticamente un misero paese della Sardegna, rappresenta i poveri eternamente affamati, appunto "quelli dalle labbra bianche", tormentati dalla cupidigia di quel cibo riservato ai ricchi, le cui labbra erano invece rosse, così come le labbra porporine delle fanciulle celebrate appassionatamente in tante ballate popolari.
Questo desiderio struggente di carne e sangue si deve all'altissimo potere nutritivo del sangue e alle sue proprietà ricostituenti. Prima che la malaria venisse debellata, insieme alla piaga della fame, l'anemia era infatti diffusissima e l'alimentazione a base di carne il suo principale rimedio. Era infatti considerato un toccasana consumare il fegato ancora palpitante degli animali appena macellati scottandolo appena sulla brace.
In Sardegna si continua tutt'oggi a preferire la carne freschissima, che viene consumata prima ancora che sia iniziato il processo di frollatura che, rilassando nervi e tendini, ammorbidisce i muscoli e accresce il pregio del taglio.
Il clima ideale per i carciofi è mite e temperato. Quindi è preferibile la stagione autunno-inverno nelle zone mediterranee e primavera-estate in quelle più fredde.
Temperature inferiori a -10°C sono sconsigliate per i carciofi, perché dannose. Normalmente, alla fine della stagione primaverile, si inizia con la preparazione del terreno, in modo da concedere una pausa da annaffiature nel periodo estivo, per poi ricominciare in autunno.
La fase di raccolta dei carciofi avviene tra gennaio e febbraio. Laddove il clima lo permette, si ricorre a una coltivazione effettuata in un periodo differente da quello consueto: le annaffiature vengono praticate in estate – nel mese di luglio - e la raccolta è anticipata a ottobre.
Nell’altopiano della Giara di Gesturi, a seicento metri d’altezza, nel cuore della Sardegna, c’è ancora chi produce un ottimo formaggio con le stesse tecniche che si usavano centinaia di anni fa.
Salvatore, per gli amici Tore, è riuscito a conservare e mantenere intatta questa sapienza plurisecolare e a riproporre nella nostra epoca l'antica tradizione della produzione casearia.
Il formaggio è uno degli elementi che contraddistinguono da sempre la gastronomia della Sardegna. Un fiore all’occhiello e un prodotto di eccellenza nella tradizione e nella cucina sarda.
Conoscere e seguire i gesti e i passaggi che scandiscono la trasformazione del latte in formaggio è un’esperienza unica. C’è di mezzo tanta passione e tanta saggezza. Sono gesti arcaici, identici per tutti i pastori, impressi nella mente, che si alternano nel più profondo silenzio.
Gli oliveti in Sardegna sono diffusi ovunque. Il binomio isola-olivo è di quelli inscindibili. Impossibile pensare a questa terra senza la presenza degli olivi e degli olivastri, scossi dal vento, nelle dolci alture, nei pendii e nelle valli.
La loro presenza capillare in tantissime aree del territorio, (dalla pianura all’alta collina), ha fatto sì che l’oliva e l’olio divenissero dei prodotti importantissimi nella cucina sarda fin da tempi remoti.
L’oliva è un alimento molto duttile e per cui molto utilizzato nei primi piatti ma anche e soprattutto nei secondi. Le olive sott’olio, con le più disparate ricette sono invece uno degli antipasti che non manca mai nei pranzi e nelle cene importanti.
Immerse in salamoia per qualche giorno, oppure confezionate sott'olio con aglio e prezzemolo, pestate e condite con aceto, oppure salate ed infornate, farcite, sminuzzate e tritate fino ad ottenerne una crema spalmabile; sono davvero tanti i modi con i quali le olive possono essere presentate nelle tavole sarde.
Ma è soprattutto il prodotto della loro spremitura che ha consacrato a livello internazionale la regione Sardegna, non tanto come più grande produttore d’olio, ma sicuramente come uno dei produttori di più alta qualità.
Se l’oliva è apprezzata, l’olio sardo lo è ancora di più e può essere tranquillamente considerato tra i migliori oli d’Italia.
Infatti nel 2015 i migliori oli extravergine di oliva nazionali appartengono all’Igp Toscano, alla Dop Terra di Bari e proprio alla Dop Sardegna. Ad averlo stabilito è il panel di assaggiatori professionisti della tredicesima edizione del “Sirena d’Oro”. Si tratta dell’unico concorso nazionale riservato alle Dop e Igp, promosso dalla Città di Sorrento, con la collaborazione di FederDop Olio e Unaprol.
Caviale del Mediterraneo, oro della Sardegna, polvere d’ambra profumata di mare, dal gusto deciso, amarognolo, salmastro, non ammette mezze misure: la si ama o la si odia. Utilizzata come antipasto o, nella tradizione cagliaritana, come condimento della pasta, è ricca di Omega 3 e proteine e contiene anche lo squalene, steroide utile, pare, per nutrire la pelle, alleviare l’infiammazione delle articolazioni e per potenziare le masse muscolari.
Si tratta della bottarga, una delicatezza alimentare sarda proveniente dalle migliaia di uova prodotte dalle femmine di muggine, salate ed essiccate con procedimenti tradizionali.
Le tipologie di bottarga più note sono di muggine e di tonno. I due prodotti differiscono sia nel colore che nel gusto: quella di muggine, più pregiata e costosa, di colore ambrato, ricorda vagamente il sapore amarognolo delle mandorle; quella di tonno, ha un colore più scuro, tendente al rosso, e un sapore più deciso.
Entrambi i tipi si trovano in commercio sia in baffe, pezzi interi costituiti dalle sacche ovariche integre, simili a un prosciutto ambrato, sia in polvere, meno costosa, ma di qualità inferiore.
La Favata è un piatto tipico della cucina sarda, la cui origine risale all’arte culinaria povera dell’Isola. Ben distante dagli scritti tipici della letteratura gastronomica, la pietanza si presenta come portata unica, nata per saziare l’appetenza tra le classi sociali meno agiate. La composizione semplice e rustica ne determina, però, il gusto tipico della cucina popolare.
L’ingrediente basilare è rappresentato dalle fave che vanno lasciate in ammollo in acqua tiepida, preferibilmente, per l’intera notte precedente la preparazione della Favata.
La produzione della mandorla in Sardegna ha origini medioevali. La diffusione del rinomato frutto secco, vanta una propagazione anticha e lontana fino ai territori dell’Asia Centrale o Occidentale e a quelli inesplorati dell’attuale Cina.
Attualmente tra le regioni meridionali dedite alla mandorlicoltura, eccelle la Sardegna per la sua ingente superficie mandorlifica pari a 3.500 ettari.
Il pane in Sardegna è sempre stato il cibo basilare dell’alimentazione, inteso come alimento essenziale nutritivo e celebrativo delle onoranze religiose, popolari e cattoliche.
Sin dai tempi antichi la panificazione artigianale e domestica, si svolge secondo una ciclicità determinata dalle necessità economiche familiari e dall’esigenza collettiva conviviale durante le occasioni festive.
La storia artigianale del pane è remota: il Neolitico vede la scoperta della coltura dei cereali, la cui lavorazione si svilupperà fino alla preistoria.
Sa panada è un piatto unico e tipico di una zona della Sardegna: Assemini. L’unicità è data dal fatto che essa rappresenta una prima e una seconda portata, quest’ultima caratterizzata dalla presenza di carne o pesce. Inoltre, la pasta de sa panada costituisce una deliziosa tipologia di pane. Si racconta, infatti, che alcuni cittadini Asseminesi, nell’antichità, preparassero delle panade molto grosse, per poterle servire come pane.
Sa panada tradizionale si prepara con anguille e piselli, sia perché i due ingredienti si sposano perfettamente, sia perché ad Assemini c’era uno stagno e nella zona vivevano prevalentemente famiglie di pescatori. Le varianti, anch’esse molto apprezzate, sono preparate con patate e carne di pollo o maiale o agnello o coniglio. Alcuni prediligono sa panada con la carne di cavallo oppure quella con le verdure. Immancabili, però, sono pomodori secchi, aglio e prezzemolo. Gli "attrezzi" da lavoro sono una terrina, un mattarello e dei piatti adatti per questo tipo di alimento: piatti di ferro smaltato che non devo presentare delle spaccature, perché potrebbero essere nocivi durante la cottura. Oppure sono perfette anche delle teglie in alluminio usa e getta.
“Sa Pompia” è un agrume originario della Sardegna, dalla buccia spessa e ruvida, che nasce unicamente nella zone della Baronia, tra le province dell’Ogliastra e del Nuorese.
Le località di sua massima diffusione sono, però, i comuni di Orosei, Torpé, Posada e soprattutto Siniscola.
È qui che la coltura del frutto, di antichissima data, trova sviluppo intorno agli anni Novanta del secolo scorso grazie alla decisione d’impiantare una coltivazione estensiva, tale da poter acconsentire un’evoluzione unica proveniente dalle terre agricole sarde.
Tipico della cultura gastronomica nuorese, su filindeu è uno di quei piatti maggiormente ricchi di valore e di tradizione di tutta l’isola. Una portata unica nel suo genere. La sua complicata tecnica di realizzazione e i vari passaggi che occorrono per ottenere il prodotto finito lo portano a essere un piatto ormai realizzato solo dalle mani più esperte delle donne nuoresi.
L’origine del suo nome si fa risalire all’arabo fidaws, che vuol dire “capello”(la pasta infatti è piuttosto fine e ricorda vagamente i capelli). Questo termine, in seguito alla conquista mussulmana della Spagna, si trasforma e lo ritroviamo nella forma di fideos, per poi mutare, nel sardo arcaico, di findeus e findeos. Da qui infine si è passati al definitivo termine di filindeu.
Il fatto che questa pasta fine assomigliasse ai capelli e che venisse preparata in festività particolari, per Pasqua, ma anche e soprattutto per la festa celebrata dai nuoresi nel santuario campestre di San Francesco di Lula, hanno portato alcuni a soprannominarla “capelli di Dio”.
L’atmosfera è fin dall’ingresso improntata al gusto genuino per un passato non così lontano, dove la morigeratezza delle cose aveva l’odore del legno, del sughero, della carta e i colori dell’autunno, della terra, delle cucine dimesse e dell’ accoglienza della famiglia allargata.
Così si presenta il locale Taccas, Sabores de Su Tempus, caratteristica locanda cagliaritana che ha trovato negli spazi del Corso Vittorio Emanuele l’ambientazione storica ideale ad ospitare un format di cucina locale che è prima di tutto convivialità, riscoperta di piatti semplici e di un’artigianalità tutta nostrana, nelle pietanze come nel design del locale.
Da Siniscola a Milano e da Milano a Cagliari, Taccas si racconta con le parole del titolare Gabriele Ponsanu, che insieme alla sorella Giovanna, dalla primavera scorsa fino ad oggi hanno portato Taccas alla ribalta della movida cagliaritana e accompagnato i curiosi clienti a rivalutare per il tempo di una cena i ritmi forsennati delle uscite in città per riscoprire modalità di degustazione, sedute e cibi all’insegna della frugalità e della tradizione. Un format che non è passato inosservato, come ci racconta Gabriele, nemmeno alle pagine di Vivi Milano, la guida del Gambero Rosso e il London Evening Standard.
Crocevia del Mediterraneo, frontiera tra mondo islamico e cristiano, la Sardegna è stata per millenni centro di scambi culturali e linguistici.
Così come nel sardo è facile trovare influenze delle altre lingue mediterranee, altrettanto succede per quanto riguarda le tradizioni culinarie.
Con un variegato patrimonio alimentare, la cucina predilige i gusti decisi e sapidi, grazie all'ottima qualità delle materie prime garantite dal clima mite.
Circondata dalla flora mediterranea incontaminata del Sarrabus e protetta dagli arenili della Costa Rey e dalle pendici montuose del Monte Liuru, l’azienda del “favo d’oro” che negli anni ‘80 dalla transumanza delle api traeva i primi preziosi prodotti targati appunto Bresca Dorada , racconta ai lettori di Sandalyon un percorso imprenditoriale affascinante e radicato nel territorio.
É Paolo Melis, socio fondatore insieme ad altri due compagni di viaggio, a descrivere il passato e il presente di un progetto che privilegia il biologico e la qualità, la natura e la vita aziendale immersa nelle campagne di Muravera. Marmellate di arance, limoni, fico d'India, mele cotogne, mandarini, liquori,mirto e sali aromatizzati sono alcuni dei prodotti che dalle sapienti mani della quindicina di collaboratori Bresca Dorada arrivano nelle tavole di tutta l’isola e del territorio nazionale fino a catturare i gusti raffinati delle sponde giapponesi.
Povera di grassi, ricca di proteine e di ferro, il Mytilus galloprovincialis, la cozza che delizia gli abitanti del Mediterraneo, rappresenta un’industria fiorente in tutta Italia ed in particolare nelle regioni del sud. Allevate in particolare a Taranto – da dove proviene almeno un quarto delle centomila tonnellate annue prodotte in tutta Italia – in Sardegna le cozze rappresentano una tradizione culinaria tra le più amate, soprattutto nei distretti costieri come Olbia, Cagliari ed Oristano.
Nella città gallurese la mitilicoltura venne importata proprio dai tarantini nei primi anni venti. Anche l’area del Golfo di Oristano pullula di vivai a mare e ospita persino una produzione naturale nella valle di Marceddì, nel sistema unico degli stagni di San Giovanni e di Santa Maria.
Anche la città di Cagliari riconosce come propria la vocazione ai mitili: nel consorzio di Santa Gilla sono iscritti centoventi cittadini; senza contare gli abusivi, più di cento famiglie quindi lavorano nella laguna. In Sardegna, attualmente, la mitilicoltura è la principale attività di allevamento di specie acquatiche; la diffusione sul territorio di insediamenti produttivi è notevole , come dimostra la produzione annua di diecimila tonnellate dei saporiti molluschi.